Prati all’inglese/Quando il tappeto non e’ verde

Basta con l’ossessione del prato ornamentale perfettamente rasato: tagliare l’erba è distruggere biodiversità, sottrarre cibo a insetti, uccelli e lombrichi. È impoverire il terreno con fertilizzanti e pesticidi. È uno spreco d’acqua soprattutto nei climi aridi. E poi ancora rende schiavi i proprietari del prato, mentre alimenta l’industria del giardinaggio .
   Pensateci bene, l’idea del prato come “moquette verde” è un concetto estetico nato nel XVIII secolo tra Inghilterra e Francia, dove guarda caso piove molto, e che si è diffuso poi come modello “universale” di spazio verde. Ma in natura non esiste, è un tentativo di soggiogare e forzare la natura per rispondere ai nostri capricci, come la potatura delle siepi. Il prato inglese serve per giocare (a calcio, golf, ecc) o per i picnic, ma per il resto è completamente inutile. Soprattutto quando, come spesso capita, “è vietato calpestare”.
   La frequente tosatura dell’erba, raccomandata da tutti i giardinieri, annienta centinaia, o forse migliaia, di specie viventi, dalle farfalle ai micro organismi che neppure vediamo a occhio nudo.
Me ne sono accorta un giorno d’estate mentre spingevo il tagliaerba avanti e indietro per il prato dei miei genitori, adepti come tutti i loro vicini di questo rito settimanale. Nel famoso proverbio, “l’erba del vicino…” non si presume forse una migliore manutenzione del prato inglese? Ad ogni passaggio delle lame rotanti del tosaerba vedevo che si scappavano terrorizzati nugoli di esseri volanti, coccinelle, coleotteri, farfalle, moscerini. Alcuni riuscivano fuggire di lato, ma al secondo mio passaggio finivano annientati. E i pochi sopravvissuti cosa avrebbero trovato dopo la tosatura? Nel loro piccolo, probabilmente quello che a Hiroshima hanno trovato dopo il fungo atomico. Il micidiale tagliaerba, di quelli con ruote semoventi, tagliava e aspirava anche fiori, corolle di semi, spore e chissà quanti altri organismi microscopici del suolo, che probabilmente erano il nutrimento degli esseri viventi di cui sopra.
   Insomma al termine del mio lavoro, avevo l’impressione di aver trasformato il prato in un cimitero, un deserto, una strage di biodiversità, un cumulo di macerie verdi, ben raffigurato dalla montagna di erba triturata destinata a finire nella discarica pubblica o in un inceneritore. Con spreco di energia per trasportare e smaltire in qualche modo questi residui.
L’erba che dovrebbe essere cibo per animali ora diventa quindi una spazzatura di cui la collettività deve farsi carico.
Dietro il tappeto inglese c’è ovviamente il business del giardinaggio, tosaerba, trattorini, semi, fertilizzati, zolle erbose, sistemi per l’irrigazione, nuove varietà di erba resistete alla gramigna, eccetera. Un pezzo di pil e tanti posti di lavoro.
  So benissimo quindi che un “movimento contro i prati inglesi” è molto impopolare, però è giunto il momento delle scelte. Un giardino “sostenibile”, con una vegetazione autoctona, meno impegnativo dal punto di vista della manutenzione, ha di sicuro una sua “bellezza”. Di sicuro è più fiorito, colorato e può essere la casa di tanti esseri viventi.
    Giardinieri e architetti di landscape potrebbero lavorare alla “riconversione” dei prati inglesi, mentre sono sicura che i produttori di tagliaerba si inventeranno qualcosa di nuovo.

 

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