Anche quest’anno il Black Friday e’ passato, o quasi. Questa genialata commerciale, come sempre importata dagli States, e’ negli anni dilagata a livello mondiale grazie alla globalizzazione e al potente marketing delle multinazionali. E’ il quarto venerdì di novembre, dopo il Giorno del Ringraziamento, ed e’ una sorta di stagione dei saldi invernali. Si fanno gli acquisti natalizi, rinnovo guardaroba e altri sfizi che servono per gratificarci. Me compresa, ovviamente, siamo tutti stati nati e cresciuti a “pane e consumismo”. Le pubblicità radiofoniche e televisive, e ora i “pop ads” fanno ormai parte della nostra vita. E adesso dovremmo cambiare radicalmente tutto, ma come si fa? Ammettiamolo, onestamente, se ci levano il consumismo rimane un vuoto che nessuno sa come colmare. A meno che non sia un monaco tibetano, ma ho i miei dubbi, visto che quasi tutti sono hanno un cellulare.
Per curiosità sono andata a cercare le origini del Black Friday che sono abbastanza misteriose ma tutte riconducibili a fatti avvenuti negli Stati Uniti. C’e’ una associazione con i grandi magazzini Macy’s che nel lontano 1922 decisero di tenere una sorta di carnevale nelle strade di New York, proprio nel giorno del Thanksgiving, per invogliare la gente allo shopping nel finesettimana. Il termine “black” significherebbe che il quel giorno i conti sono in “nero”, cioè si fanno guadagni. Un altra storia, sempre spulciando la Rete, e’ legata a un crollo di Wall Street nel 1869 che ha mandato in bancarotta un sacco di gente. I prezzi quel giorno sono crollati, vero, ma non penso ci sia stato per questo una corsa agli acquisti, anzi tutt’altro.
Pare che quest’anno gli affari di questa orgia consumistica, per lo più’ on line, non siano andati troppo bene. Le vendite non sono state secondo le aspettative. Forse perché’ i Black Fridays sono diventati molti ormai nell’arco dell’anno e si sono inflazionati. Oppure la gente ha meno “predisposizione” al consumo, come dicono gli esperti di microeconomia. stiamo vivendo contemporaneamente una pandemia globale, una guerra alle porte dell’Europa, la ripresa dell’inflazione e least but not last una emergenza climatica. E in questo scenario apocalittico, tipo sette piaghe bibliche, forse non viene voglia di spendere soldi. La maggior parte dei beni comprati non e’ essenziale, se ne puo’ fare benissimo a meno , come molte cose che abbiamo in casa o negli armadi. Molti ormai ne hanno coscienza, ma preferiscono chiudere gli occhi e comprare.
D’altronde il battage pubblicitario e’ una macchina da guerra, non si ferma e si culla nell’illusione di un consumismo infinito. Praticamente non si può’ aprire un sito su internet senza che vengano fuori annunci di tutti i tip. Sono sicura che i conti di Amazon e compagni saranno in “black” anche questo novembre.
Per il pianeta e’ ovviamente un ‘venerdì’ nero’, come si può facilmente immaginare. Per fortuna ci sono detrattori del Black Friday, degli ‘obiettori di coscienza’, che hanno lanciato delle controazioni, tipo il “Buy Nothing Day”, che tra l’altro esiste da diversi anni, sempre ovviamente negli Stati Uniti. Si direbbe che se la suonano e se la cantano. E che consiste nel non consumare per 24 ore. Diverse altre iniziative invece riguardano le vendite di merci di seconda mano, il riciclo e riuso, tutte cose “di nicchia” ma che – per fortuna – stanno sempre più’ diventando popolari oggi giorno soprattutto tra i giovani.
Tuttavia e’ un po’ tardi che ci si renda conto, dopo anni di follie consumistiche a livello mondiale, che e’ ora di tirare il freno. Boicottare gli acquisti di fast fashion o di merci superscontate potrebbe servire, ma non basta. Ci vorrebbe un intervento politico per limitare o vietare almeno la pubblicità’ di prodotti altamente inquinanti. Oppure un’azione decisa a livello di sensibilizzazione con campagne mediatiche di forte impatto. Ovviamente bisogna andare contro le lobby. E poi chi lo dice che un pannello solare sia meno inquinante di uno stivale di gomma? Vecchio dilemma. E’ un venerdì nero per l’intera umanità.